Ribaltare il risultato del cambiamento climatico scegliendo l’impatto zero
Le attività umane hanno un peso, le realtà produttive lasciano un’impronta. Qualsiasi azione, prodotto o processo ha un impatto, più o meno sostenibile, con cui misurarsi nel presente. Ma prima di pareggiarli, i conti bisogna farli: emissioni alla mano.
Ci sono varie tappe, prima di scendere a quota zero nel bilancio del nostro impatto sul pianeta.
Lo chiede l’Accordo di Parigi, che l’Unione Europea e 195 Paesi hanno firmato nella prospettiva di raggiungere le emissioni zero entro il 2050: l’anno del giro di boa del ventunesimo secolo, principale responsabile dell’inquinamento planetario ma anche lo snodo decisivo per risollevare, qui e ora, le sorti del futuro.
Ripensare, ridurre, compensare, azzerare. Sono queste le tre fasi che spiegano le regole del vero mondiale: quello che ci vede tutti in campo, a fare rete per lo stesso risultato.
Necessarie… ma non sufficienti. Sì, perché per ridurre bisogna prima sapere quanto si inquina, per compensare serve aver attuato tutte le misure correttive, così da essere sicuri di avere tra le mani solo l’inevitabile quota residua di CO2 per ciò che concerne la produzione. Investendo in ricerca sulle materie prime, operando coraggiose scelte di packaging, analizzando e migliorando i processi.
È fondamentale decidere concretamente sulla base di quello che si immette nel mondo: conoscere i propri limiti, insomma, per darsene degli altri. Non privativi, ma incentivanti.
Carbon footprint, carbon budget: il vocabolario dell’impatto climatico
Per contrastare il cambiamento climatico bisogna essere in tanti, lavorare insieme e pensare a favor di collettività. Ecco quindi spiegata la scelta di ricorrere ad un linguaggio internazionale.
Pur avendole sentite ripetere tante volte, vi siete mai davvero chiesti che cosa volessero dire le parole d’ordine del Green Deal europeo?
Partiamo dalle basi, dall’espressione forse più inflazionata. Che cosa vuol dire carbon footprint? Letteralmente è l’impronta di carbonio, la quantità di emissioni di GHG (gas a effetto serra) generate dal volume di un’attività. Il segno diretto o indiretto, per intenderci, del nostro passaggio.
Misurato questo valore, tocca però passare ai fatti e stabilire un carbon budget. Che altro non è che il bilancio in termini di CO2, la soglia limite di emissioni che possiamo permetterci di scaricare nell’atmosfera per avere una chance di rientrare nei parametri imposti dall’Accordo di Parigi e contribuire al cambiamento (positivo) di rotta.
Per calcolare la carbon footprint è necessario analizzare punto per punto, dettaglio per dettaglio il ciclo di vita del prodotto o dell’attività sotto esame. Questo studio si chiama Life Cycle Analysis (LCA) e prende in considerazione tutte le fasi del processo: dall’estrazione delle materie prime, passando poi a fabbricazione, trasporto, distribuzione, uso, riuso, manutenzione e, infine, smaltimento.
Considerato tutto questo, siamo pronti a spiegare la carbon neutrality.
Fact check: la (smisurata) CO2 si combatte con riduzione, ottimizzazione e compensazione
Che il riscaldamento globale sia un processo in atto da diversi anni è fuor di dubbio.
Secondo le stime del Gruppo Intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), però, potremo arrivare a emissioni zero nel 2050 solo se conterremo l’aumento della temperatura entro 1,5° di rialzo.
Ma, soprattutto, rimanere sotto questa soglia fermerebbe l’inesorabile innalzamento del livello dei mari, il verificarsi sempre più frequente di eventi atmosferici estremi, l’acidificazione degli oceani e le infuocate ondate di calore.
Per rispettare il Green Deal dovremmo tagliare le emissioni globali del 7,6% ogni anno per l’intero decennio 2020-2030. Per avere la misura dell’obiettivo sfidante, basta tener conto di quanto siano crollate nel 2020 con una pandemia in corso: del 7%. Per tenere – e superare – un trend di questo tipo, quindi, occorre fare molto di più in termini di scelte. Riducendo, rendendo efficienti i processi e compensando.
Senza dimenticare che gli investimenti a favore del clima possono generare milioni di nuovi posti di lavoro, una maggiore qualità della salute e infrastrutture resilienti.
Sulla strada verso il 2050, c’è in poche parole un obiettivo intermedio fissato per il 2030: -55% di emissioni. E per centrarlo bisogna accelerare subito: ridurre gli sprechi, farlo presto.
Compensare: la soluzione per abbattere l’impatto inevitabile
Nelle relazioni, le mancanze si compensano con altre attenzioni. Al pari di qualsiasi altro rapporto, quello tra essere umano e pianeta terra poggia le basi su delicati equilibri e necessità di… pareggiamento dei conti.
Esiste una quota di emissioni inquinanti impossibile da eliminare. Per fare un esempio, quella legata ai trasporti e alle spedizioni. Su quella porzione di CO2 non si può intervenire con azioni di riduzione, efficientamento o azzeramento, ma si può scegliere di commutarla in progetti virtuosi come le riforestazioni o, ancora, lo sviluppo di energie alternative e rinnovabili.
In sostanza, quella percentuale di inquinamento residuo si può trasformare in iniziative di sostenibilità attiva in qualche angolo del mondo, dando forma e sostanza a sogni di sviluppo ambientale, sociale, economico e tecnologico soprattutto nelle aree dove stenta a far breccia.
Ricordate il disastro ambientale dell’Amazzonia, con centinaia di migliaia di ettari di foresta divorati dalle fiamme dolose sprigionate dall’irragionevolezza umana? Quel che è destabilizzante è che, ad oggi, il polmone della Terra emette più anidride carbonica di quanta riesca ad immagazzinarne. Stiamo parlando di uno dei pozzi di assorbimento vitali per l’equilibrio climatico del pianeta. Il garante del nostro ecosistema, l’immeritata compensazione in natura che attutisce l’impatto dello sfruttamento umano nel pianeta che ci ospita.
Bene, oggi non respira più. «Le aree in cui la deforestazione è pari o superiore al 30% mostrano emissioni di carbonio 10 volte superiori rispetto a quelle in cui la deforestazione è inferiore al 20%»: dice uno studio recentissimo di Nature. E riforestare è solo una delle azioni che possiamo sposare per ritrovare ossigeno, lungo la discesa a quota zero.
La “quota residua” di Oway, che da sempre sceglie di agire
Compensare è necessario, ma solo dopo aver fatto tutto quello che è in nostro potere per comprimere gli sprechi, abbracciare decisioni circolari e mostrare che, di fronte al cambiamento, non ci si deve mai arrestare.
In Oway da tanti anni abbiamo scelto di prendere la via a minor impatto tramite l’eco-progettazione, le materie prime a km 0 da agricoltura biologica e biodinamica, le rinnovabili, contenitori 100% riciclabili all’infinito, zero overpackaging e, solo alla fine, i progetti di compensazione. Un impianto di valori che, come ci ha riconosciuto di recente il Netcomm Award, si trasforma ogni giorno in concretezza.
Oway nel 2020 ha scelto di volare nel nord dell’India – terra di profumi, tempio dei cinque sensi e trionfo di tessuti e colori – con un progetto che si fonda sull’installazione di due sistemi cogenerativi per la produzione di energia elettrica e calore destinati al consumo locale.
Negli stati del Punjab e dell'Uttar Pradesh, abbonda un combustibile che non emette CO2 nell’atmosfera, che è la lolla di riso, il guscio duro che riveste i chicchi. Biomassa, quindi: il combustibile figlio dei nostri tempi che permette di mitigare le emissioni, lasciare da parte il carbone, offrire un’opportunità di investimento alle popolazioni coinvolte nella creazione dell’impianto e suggerire la scelta di tecnologie green, con benefici a lungo termine.
Per i trasporti e le spedizioni, ma anche per mezzo loro.
Sì, perché per ogni tonnellata di CO2 prodotta durante il trasporto, una quantità equivalente di CO2 viene risparmiata da un progetto certificato di riduzione delle emissioni nel mondo.
Compensare, in fondo, è parte dell’attivismo. Della rivoluzione circolare che è da sempre al centro del nostro mondo.